Il "Diario" di Padre Leone Turco
22-02-2025 20:55 - storia
− Che ne sai tu di Padre Leone Turco? Sei forse portodanzese?
− Non ne so molto in effetti e no, non sono portodanzese. E neppure sono di Anzio per la verità. Però ad Anzio ci vivo e in questo nome di prete mi imbatto spesso.
− Ma chi era?
− Guarda, a stringerla all’osso ti posso dire che è stato il parroco della chiesa dei santi Pio e Antonio, la principale della città, dal 1901 al 1953 quando è morto. Cinquantadue anni vissuti, a sentir molti, nel generale affetto popolare. Non poteva affacciarsi sulle scale del piccolo sagrato della chiesa che subito era salutato e riverito dai fedeli. E anche dai meno fedeli, insomma da tutti.
− E come mai tutto ‘sto calore?
− Mah, pare che la gente avesse captato il buono che c’era in quel pretino sempre disponibile ad ascoltare e pieno di energie nell’inventarsi forme d’aiuto sociale, religioso e umanitario. Perfino quando capitava nelle osterie per recuperare una pecorella errante dal gregge era bene accetto.
− Ma tu queste cose come le sai? Te le insegnano a scuola?
− Seeeee, a scuola! È proprio lì che manca. Però hai centrato il punto, tanto che il sindaco ha appena detto che il comune farà ristampare un certo libretto di Padre Leone e lo farà distribuire nelle aule.
− Daje! Ecco che mi tiri fuori ancora un’altra notizia! Ti chiedo come sai la prima e te ne esci con una seconda? Non è che ti stai inventando tutto?
− Aaahhh, non ti fidi, ecco il problema! D’accordo, ti confesso che non ne sapevo quasi nulla fino a poche ore fa.
− E poi?
− E poi è successo che sabato pomeriggio, il 22 febbraio, bada bene la data è importante, sono andato a curiosare ad un convegno in corso a Villa Sarsina, proprio dentro la sala del consiglio comunale di Anzio…
− Embè? Che dicevano?
− Ehhhh, sapessi, un sacco di cose. Hanno preso spunto da un libriccino ormai introvabile, una sorta di diario, per raccontare chi era l’autore. Che guarda caso, è proprio il nostro Padre Leone Turco. Capisci? Questo parroco, oltre a tutto quello che aveva da fare, aveva il pallino di annotare le sue giornate in un diario. E la cosa buona è che sapeva scegliere bene le cose da riportare. Hai presente quando un pittore ti fa apparire un volto sulla tela solo passando e ripassando impercettibili pennellate di acquarello che a vederle non gli daresti un soldo e che invece all’improvviso prendono tutto un significato? Be’, una cosa del genere. Nel Diario lui descrive episodi all’apparenza minimi, di secondo piano. E invece pian piano ne esce un quadro impressionante per quanto ti rimane negli occhi.
− Ma sai che mi stai davvero incuriosendo? Dai, fammi qualche esempio di queste “pennellate” come le chiami tu.
− Che dirti… per cominciare non è che parliamo di fatti troppo allegri. Tieni conto che il Diario copre il triste arco di mesi che videro la popolazione locale evacuata a forza. Prima dai tedeschi (al solito con gli orifizi irritati dal cambio di alleanza dell’Italia) e poi dagli alleati che dopo essere sbarcati erano diventati bersaglio dei cannoni nazisti. E con loro gli incolpevoli abitanti. I primi, siamo a ottobre 1943, imposero l’abbandono del centro abitato e l’obbligo di portarsi ad almeno 6 km. In pratica la gran parte finì a Batteria Siacci sulla Nettunense, hai presente?
− Quel pratone di fronte al McDonalds…
− Sì quello, bravo. Lì si rifugiarono in una caverna. Che non avrei mai immaginato ce ne fosse una in quel luogo. Condizioni di alloggio pessime. Tanto che si cominciò (il prete per primo) a cercare alternative per le famigliole. L’ospitalità del quartiere Falasche fu totale e le persone del centro città si sparpagliarono nelle abitazioni allora rurali del luogo.
− Falasche? Quello a ridosso dell’attuale Villa Claudia?
− Sì, quello.
− Ah ma allora ecco perché una delle strade del quartiere oggi porta proprio il nome di Padre Leone Turco!
− Certamente!
− Ma che bella cosa! Oltre che onorare il sacerdote, dare quel nome a una via non centrale ha il grosso merito di aumentare il senso di appartenenza alla vita cittadina. Anche in periferia, dico.
− Vero, non ci avevo pensato! Mica male come osservazione. Ma lasciami continuare. Il diario a questo punto riporta un episodio tragico, un bimbo della comunità degli sfollati si ammala e in quelle condizioni malsane muore. Al dramma si aggiunge quello della giovane mamma che, anche lei malata, o forse distrutta dal dolore, muore anch’essa nel giro di pochi giorni. Padre Leone annota la cosa con discreta partecipazione, senza enfasi. Ma l’episodio ti rimane dentro, lo vedi, lo soffri, come fosse attuale anche se son passati 80 anni.
− Mi hai raggelato, possiamo andare oltre?
− Ok, ma ti avverto che sempre di emozioni forti si tratta. Saltiamo qualche mese, siamo a febbraio 1944, il 23 per la precisione (e il convegno che ho seguito si è tenuto giusto alla vigilia di un 23 febbraio, quello del 2025, te lo dicevo che la data era importante). Dunque il 23 febbraio di quel penultimo anno di guerra lo sbarco già è avvenuto, ad Anzio ci sono truppe alleate e dai Castelli fioccano le granate. Il comando decide di portar via la popolazione, ma stavolta non nei dintorni, comunque sotto tiro, bensì molto più lontano, nel sud Italia che nel frattempo sono riusciti a conquistare. Quel giorno migliaia di persone vengono caricate su una nave diretta a Napoli per essere poi smistate in vari paesi della Calabria. Al largo di Gaeta però la nave viene intercettata da due sommergibili tedeschi. Il comandante informa i passeggeri del pericolo incombente. Li invita a indossare i salvagente, ma la presenza di centinaia di bambini fa subito capire che le cose possono andare davvero male. Padre Leone dà a suo modo conforto affidando il suo gregge alla preghiera. Sul ponte della nave tutti si inginocchiano intorno al parroco in attesa del peggio. Stanno lì quattro ore, oranti e tremanti. Poi il comandante annuncia il cessato allarme, un siluro ha lievemente danneggiato un’elica ma nulla più, e il convoglio nemico si è, inspiegabilmente ma fortunatamente, allontanato.
− Mamma mia, che momenti!
− Te lo dicevo. Ma a questo punto ti dico l’ultimo e poi ti lascio, tanto ormai hai capito il clima del libro. Facciamo un salto di 4 mesi. È giugno 1944, gli alleati hanno sfondato le difese tedesche e raggiungono Roma. Anzio è ormai fuori tiro e la gente può tornare. Ritorna anche la Madonna delle Grazie che i nettunesi avevano a loro volta portato in salvo al sud. L’attenzione di padre Leone è adesso sullo stato d’animo dei profughi che rientrano in città. Ansiosi di ritornare a casa, allibiti dal trovare solo briciole di case e nonostante ciò gagliardamente intenzionati a togliere i calcinacci, a ritirare su muri, a rivivere una casa.
− Senti però ti sei perso, mi stavi raccontando di Anzio e adesso ti sei messo a raccontare di Gaza e delle sue macerie?
− Ma che Gaza! Questo succedeva ad Anzio, 81 anni fa! Ed era perché non accadesse mai più. Anche se…
Libera sintesi dal convegno sul “Diario di uno sfollato anziate” di Padre Leone Turco tenutosi il 22.2.2025 nella sala consiliare del comune di Anzio.
La figura del “Padre Presidente”, come il sacerdote era comunemente chiamato, è stata tratteggiata da padre Francesco Trani, mentre alcuni brani sono stati letti da Pietro Rebora. Presenziava il sindaco Aurelio Lo Fazio. Ha coordinato l’incontro Giovanni Del Giaccio.
Padre Leone Turco nacque a Segni il 16.6.1874 e morì ad Anzio il 7.8.1953.
Apparteneva ai Frati Minori Conventuali
[claudio tondi / 2025 ]